Alcuni stati e diverse città italiane rivendicano la titolarità di tale ricorrenza, ma il Carnevale è una festa nata a Napoli e poi diffusasi in tutto l‘Impero romano. Essa nacque dal soggiorno (varie volte) dell’Imperatore Nerone a Napoli, ove trovò (rispetto a Roma, come già riferito nella 1a Parte) piena accoglienza e gradimento alle declamazioni delle sue Opere e dei suoi canti mitici. Egli ricompensò la Campania, permettendo che ogni uomo, di qualsiasi condizione e religione, anche gli schiavi, avesse la massima licenza; (Senera, Apoc. 8) durante quei giorni in cui l’Imperatore era anche l’attore e cantante. Ecco che nacquero i quindici giorni; delle feste di Carnevale e che terminavano con la morte di Carnevale, cioè terminava il periodo della  (il periodo di quindici giorni indica il tempo che l’Imperatore Nerone si tratteneva nelle terre vesuviane, anche per visitare e dare udienza ai rappresentanti romani delle cittadine di Ercolano e Pompei). A tale festa,
essendo l’unico momento di eguaglianza fra tutti i ceti, era permesso che gli schiavi o classi consimili potessero eleggere il loro  delle feste”, che sarebbe stato poi chiamato in seguito o mastro da festa (vi sono diverse interpretazioni circa la natalità del Carnevale, ma esse devono ricondursi in fantasiose leggende di sapore campanilistico). Il simbolo “infantile” della festa è principalmente la “vecchia ‘e carnevale”, un pupazzo di stoffa rappresentante una vecchia brutta, raggrinzita, con appena qualche dente, ma con un corpo giovane e procace con una gobba sulla quale troneggia il classico rappresentante della napoletanità: pulcinella che viene portato su un carretto in giro per la città seguito da uno zufolo e da una “grancassa, uno scetavajasse e da un putipù” e dalla
moltitudine di ragazzi e nonni.