Emergono nuovi particolari sull’operazione della Direzione Investigativa Antimafia che all’alba di oggi, martedì 9 luglio, ha dato esecuzione a 18 misure cautelari nei confronti di altrettante persone e sequestrato oltre 131 milioni di euro. Le stesse indagini, come specificato dalle autorità, sono partite nel marzo 2018 e oltre alla DIA hanno visto anche il coordinamento della DDA della Procura di Roma e sono stati raccolti gravi elementi indiziari sull’esistenza di due associazione a delinquere che attraverso una strategia di sommersione riciclavano ingenti somme di denaro e lo facevano infiltrando attività imprenditoriali all’apparenza legali e che operavano in vari ambiti come quello del cinema, o quello dell’edilizia, o della logistica, o del commercio di auto e idrocarburi. Di conseguenza venivano create alcune società fittizie che avevano lo scopo di emettere delle false fatturazioni grazie anche al supporto di imprenditori e liberi professionisti.

La DIA ha reso noti in un apposito comunicato stampa alcuni dei nomi degli arrestati e tra loro figurano personalità “di spicco” della criminalità romana e organizzata. Infatti è finito in manette anche Antonio Nicoletti (figlio del boss della camorra a Roma Enrico) e secondo gli inquirenti al vertice della prima associazione smantellata oggi. Oltre a lui, sono finiti in manette anche il produttore cinematografico Daniele Muscariello e il manager musicale Angelo Calculli e Umberto Luongo. Stando alle risultanze investigative, Muscariello agiva come una sorta di fiduciario dei clan campani coinvolti riciclando denaro attraverso società “cartiere” a lui intestate in qualità di prestanome. Cosa simile che faceva anche Calculli. Le medesime società “cartiere” venivano create anche con la partecipazione di molti soggetti della criminalità  romana e di quella camorristica. L’ulteriore prosecuzione delle indagini, ha poi documentato una convergenza di interessi di “mafie storiche” e “nuove mafie” vicine al clan D’Amico-Mazzarella e delle cosche calabresi dei Mancuso e dei Mazzaferro e della famiglia Senese attive nel settore del commercio illecito degli idrocarburi. Da qui, gli inquirenti hanno raccolto altri elementi indiziari circa l’esistenza di un’altra associazione criminale collegata alla prima e operante sulla Capitale, ma ramificata anche in altre regioni italiane. Tra gli appartenenti a quest’ultima associazione e arrestati, troviamo Vincenzo Senese (figlio del boss di camorra Michele), Roberto Macori e Salvatore D’Amico. Anche in questo caso, l’attività veniva svolta attraverso società “cartiere” che ricevevano finanziamenti di denaro dai già citati clan campani e calabresi e avrebbero acquisito il controllo di depositi fiscali di idrocarburi che servivano all’attività di riciclaggio.

Contestualmente ai reati di natura economico-finanziaria e documentati anche dalle attività di accertamento fiscale del Nucleo PEF della Guardia di Finanza di Roma, i componenti delle due organizzazioni erano anche dediti ad una serie di delitti strumentali, come estorsioni e usura, che servivano o regolare conti tra loro, o a legare imprenditori, allo scopo di alimentare il profitto illecito.